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RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Le parole

di Marco Celati - giovedì 23 aprile 2015 ore 19:52

"All'ipotetico lettore"

Questo racconto è un indolente esercizio di scrittura. Alcuni "valderopitechi" come me, con i quali ogni settembre ci troviamo per la vendemmia da un comune amico, mi hanno dato in chat alcune parole chiave casuali con cui comporre un breve racconto. Altre, altrettanto casualmente, le ho aggiunte io. Questo è il risultato. In grassetto le parole chiave. Buona lettura.

LE PAROLE

"E sappi che l'affetto nell'addio/ non è minore che nell'incontro. Rimane/ uguale e sarà eterno. Ma diverse/ sono talvolta le vie da percorrere/ in obbedienza al destino." Questi versi di una poetessa fiorentina gli erano rimasti impressi per due motivi: il primo perché erano bellissimi e il secondo perché gli ricordavano un addio. Obbedire al destino: che vuol dire? chissà mai cosa vogliamo o cosa ci viene imposto. Se la vita ci necessita o è il caso che segna fatalmente le stazioni della nostra esistenza. Insomma era solo. E quando era solo e non aveva più da sbrigare le incombenze assegnate dalla vita di coppia stava presso di se'. Ma presso di se' era rimasto poco da riconoscere, da fare compagnia e a volte gli piaceva poco quello che restava: parole, politica, solitudini. Poi somatizzava lo sconforto e le difese immunitarie calavano inversamente al crescente livello di autocommiserazione. Così un semplice colpo di fresco era bastato per fargli prendere una "freddaia", come dicevano da quelle parti, una frescata, un raffreddore insomma. Stoico e frescone qual era, subito aveva abusato di antibiotici e aveva provato ad autoconsolarsi concedendosi un po' di "voglienze", quelle cose che fanno gola e non sarebbero strettamente necessarie, ma rispondono a nostre voglie o inconsci desideri: fragole, cioccolata ed altro.

E poi le stazioni della vita contemplavano sempre la politica, ma la politica parlava da un po' di tempo in qua solo di stazioni appaltanti e turbative di aste. Da piccolo aveva avuto problemi di scrittura e le aste con cui al suo tempo, un secolo fa, a scuola facevano riempire i quaderni, gli venivano tutte sghembe. Anche quella era una turbativa d'aste? E dalle stazioni appaltanti che treni partivano? Dove andavano? A Regina Coeli? Ma che bella espressione la "turbata libertà degli incanti"! Richiama alla mente qualcosa di magico: "Sogno di una notte di mezza estate" o forse evoca più "La Tempesta"...Però non gli piaceva il qualunquismo sfascista, la politica era stata servizio. Gli piaceva giocare con le parole: le parole come pietre, le parole tra noi leggere. "Una rosa è una rosa, è una rosa" o si chiama così? Le parole restano sole, sono formate da un alfabeto di segni e di suoni, nessuna risposta riescono a dare: forse occorrerebbero ideogrammi, moderni geroglifici per cogliere ciò che collega alla testa quello che si vede e come si dice. Come le foto, le istantanee a cui un grande scrittore toscano, da poco scomparso, attribuiva una "losca virtù", classificandole in qualche modo veritiere e ingannevoli: carpiscono e restituiscono un'immagine che resta, altrimenti irripetibile, oltre il loro momentaneo e occasionale significato, fissano un istante privato, per l'eternità e per tutti. Come i vecchi ritratti di famiglia, ingialliti, di persone che non si riconoscono più.

Le parole erano la sua solitudine, la vita civile aveva corretto in parte un'innata timidezza aggressiva. Che fare? Pensava di iscriversi ad un corso di potatura dell'olivo a vaso policonico: non aveva la più pallida idea di cosa si trattasse, ma il nome era molto suggestivo e poi c'era un amico che aveva gli ulivi e richiedeva un aiuto per la potatura. Già andavano con un gruppo ben affiatato a vendemmiare ogni settembre da un amico comune: ripagava la fatica della vigna il ristoro di un pranzo sull'aia. Potare gli ulivi avrebbe dunque completato l'impegno agreste rafforzando conoscenze, amicizie e compagnie. E poi, magari, un falò sulla collina con le potature: molto letterario, Pavesiano, solo un po' di diossine nell'atmosfera.

Il tempo però gli stava passando: erano più i morti che i vivi al ricordo e il dolore si acquieta, ma non si estingue. "Amore gioventù, belle parole/ cosa splende su voi e vi dissecca? / Resta un odore come merda secca/ lungo le siepi cariche di sole". Proprio così: belle parole! Per scommessa gliene avevano commissionate una serie a caso e alcune le aveva aggiunte lui, da mettere insieme e creare un racconto breve. Perché breve? Perché non ci sono più i tempi lunghi, i grandi orizzonti: l'interpretazione della realtà si divide, si frantuma, si atomizza e quindi non possono esistere più né il grande romanzo né i narratori delle grandi pianure. E soprattutto perché un racconto lungo non gli riusciva. Preferiva semmai spezzare la vita in versi: più immediato e più comodo. "Metti in versi la vita, trascrivi/ fedelmente senza tacere/ l'evidenza dei vivi/...Inoltre metti in versi che morire/ è possibile a tutti più che nascere/ e in ogni caso l'essere è più del dire". Lo ha scritto un poeta vero ed è vera questa cosa della supremazia dell'essere sullo scrivere e sul dire, della vita sull'arte insomma. Però è proprio l'essere, il vivere che sfugge alla nostra comprensione, forse perché essere e vivere non sono esattamente la stessa cosa. Pensieri grossi, troppo vasti per un racconto breve che qui finisce, esaurite le parole. Sosteneva un filosofo non a torto, ma chissà se a ragione, che su ciò di cui non si può parlare si deve tacere.

Treggiaia, 14 Marzo 2015 

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati