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domenica 14 dicembre 2025

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Storia di io - Quasi un compito in classe

di Marco Celati - domenica 14 dicembre 2025 ore 07:00

Tema

“Delineare il confronto-incontro tra il mito e la storia nella determinazionedel cammino dellumanità, dallantica Grecia ad oggi”.

Svolgimento

Il mito e la storia incrociano spesso e volentieri il destino dell’uomo, con esiti alterni. Questa è la storia di IO.

Siamo in Grecia nel 335 avanti Cristo. Un vedovo, la giovane compagna e il figlio, dalla Macedonia si trasferiscono ad Atene. Lui è un Maestro, un filosofo, allievo di Platone. È stato precettore di Alessandro il Macedone che sarà Mega, il Grande, e se ne andrà ad Oriente, in giro per il mondo a conquistarlo. In prossimità di Atene il Maestro fonda una Scuola filosofica e scientifica che diventerà la più celebre dell’Ellade. La Scuola si trovava a Lykeion, vicino al santuario di Apollo Licèo da cui prese il nome e si chiamò “Liceo”. Nome che ebbe una certa fortuna nei secoli a venire per gli studi classici e scientifici.

Probabilmente il Maestro non acquistò la Scuola, la prese in affitto, perché Atene lo aveva accolto a braccia aperte, come faceva con tutti da Pericle in giù, ma egli rimaneva pur sempre uno straniero, un “meteco”, e non aveva diritto di proprietà. Che, se vogliamo dirla tutta, non è nemmeno una bella storia, ma al tempo era già tanto e il contesto storico giustifica molto. La Scuola venne finanziata dallo stesso Alessandro e aveva una conformazione caratteristica. Nell’atrio interno c’era un porticato coperto, un “péripato” che in greco significa “passeggiata” e indicava l’antico viale intorno all’Acropoli di Atene. Il Maestro soleva tenere le sue lezioni discutendo e camminando sotto il colonnato perimetrale con i propri discepoli. Le lezioni praticamente erano una passeggiata. Così la Scuola era detta peripatetica e peripatetici gli alunni. Passeggiatori e tutti filosofi. Mentre le peripatetiche passeggiatrici, guarda caso, erano più che altro puttane. “Etère” nel migliore dei casi, che erano quelle dei simposi di alto bordo. E anche questo non è bello, è una vera e propria discriminazione di genere. Ma la filosofia è filosofia, la storia è storia e la vita è vita. Amen.

Il miglior discepolo della Scuola si chiamava IO. Anche lui era un “meteco”, uno straniero. Era bellissimo, il prediletto del Maestro. Un bel giorno l’allievo si trovava a passeggiare fuori dal porticato, nel giardino interno, all’aperto. Zeus, padre di tutti gli Dei e di un numero imprecisato di figli illegittimi, lo vide dall’alto dell’Olimpo e se ne invaghì. Fu un colpo di fulmine! Zeus non era omofobo, anzi, tantomeno xenofobo, che sono tutte parole di origine greca, ma per non alimentare le dicerie sulla corruzione dei giovani che, a proposito di filosofi, non avevano aiutato Socrate e per evitare di accrescere le lamentele relative al numero eccessivo degli stranieri che, con buona pace di Pericle, imperversavano, gli conferì, seduta stante, la cittadinanza ateniese e in un lampo lo trasformò in donna. Dopodiché le fu sopra, la possedette e la ingravidò. Le divinità del Pantheon greco temono solo il fato e non sono molto attente alle sorti degli umani, né alle distinzioni di genere. Anzi, se ne sbattono proprio! Almeno questo è ciò che raccontano a proposito di IO, poi non si sa. Mito e religione travisano e coprono, giustificano e perdonano parecchio.

Non sfugge comunque al narratore che IO si chiamava come la sacerdotessa di Era, moglie del Re degli Dei e da questi trasformata in una bianca giovenca per potersi intrattenere sessualmente con lei sfuggendo alla gelosia morbosa della Regina. IO, la giovenca, girovagò per il mondo tormentata da Era e finì in Egitto dove riacquistò le sue fattezze, divenne Iside e fu adorata. Intanto Zeus cercava un super IO perché s’era stancato della solita vacca e probabilmente anche di Era la quale, oltre che moglie, gli era pure sorella. Gli Dei al tempo non guardavano tanto per il sottile.

Del resto Zeus non era nuovo a queste imprese. Non era la prima volta, sia come Dio che con le relazioni con la famiglia dei bovidi. Si era innamorato di Europa, una principessa fenicia, trasformandosi, questa volta lui, in un toro bianco per avvicinarla. La principessa, affascinata dalla mansueta e possente bestia, gli salì sul dorso e fu rapita per mare fino a Creta dove Zeus rivelò la sua vera identità e tentò di usarle violenza. Ma lei resistette. Va bene focoso come un toro, ma è un modo di dire e a tutto c’è un limite. Il Dio però non si scoraggiò, né si dette per vinto. Si trasformò in aquila reale e riuscì a sopraffarla nel bosco sotto un salice o un platano, poco importa. Sarebbe andato bene anche un canneto. In seguito la principessa Europa dette il suo nome al continente europeo, simboleggiando il viaggio dall'Oriente all'Occidente con tutti i suoi travagli, compresa la violenza e l’aquila reale, anzi imperiale. Ma, tornando al nostro IO, la morale è che, finché siamo al sicuro sotto un porticato, è lecito filosofare e avvicinarsi al Dio, ma all’aperto no, perché si dà troppo nell’occhio agli Dei, bramosi e invidiosi di noi uomini, povere bestie. E sottoposti per definizione. È un po’ come nella storia biblica dell’Albero della Conoscenza. Che poi era un melo e produceva un frutto "proibito" chiamato "malus", mela, che però era "bonus". E questo contrasto "bonus-malus" e viceversa, ebbe qualche implicazione con il “peccato originale” e sue conseguenze, e una notevole influenza sulla teoria del libero arbitrio, nonché sulle pratiche assicurative.

Il Maestro, nonostante la proverbiale atarassia dei filosofi greci, andò su tutte le furie e per rappresaglia emanò il principio di identità, di contraddizione, nonché del terzo escluso con l’aggiunta di una serie di sillogismi che dette da studiare agli allievi, per la loro somma felicità. Alla fine fece coprire il patio. Ci ricavò una grande palestra che adibì agli sport olimpici per giovani nudi e chiamò “Ginnasio”. Che con il Liceo era un classico.

Fra i sillogismi della Scuola, uno noto e studiato è che se A è B e B è C, allora anche C è A. Più o meno. Perché la logica si divide in ragionamenti logici e no. Ad esempio il filosofo Wittgenstein, per il quale la logica veniva prima di tutto, della filosofia e della matematica, più avanti enuncerà il famoso assunto che afferma che “quello di cui non si può parlare bisogna tacere”. E tante grazie al cazzo! Tra l’altro ai suoi tempi, i primi del novecento, non c’erano ancora i social, la tv, il gossip e le fake news. Figuriamoci. Però l’assunto in qualche modo era giusto e resistette fino a noi. Infatti alla televisione, fino alla metà circa del secolo scorso, non si potevano menzionare parole come "lassativo" o termini legati a problemi intestinali. Perciò per la réclame di un noto purgante su Carosello, famoso programma pubblicitario televisivo in bianco e nero dei boomer, ci si limitava a dire “Confetto Falqui, basta la parola!”. Wittgenstein aveva ragione.

Il Maestro comunque dovette allontanare IO, divenuto femmina, dalla Scuola perché le donne non erano ammesse e stavano solo nel gineceo a sparlare e filare. IO, essendo stato un meteco, da uomo non votava, da donna nemmeno, così la Polis non ci guadagnò granché. Ma ad IO non era dispiaciuto essere diventata donna. Partorì due gemelli, maschio e femmina e, per non sbagliare, chiamò la femmina LEI e il maschio LUI. Insieme facevano un bel terzetto. Avrebbero potuto stabilirsi ad Atene, ma la Grecia era in crisi. Non erano bastati, anni addietro, i persiani, gli spartani e la peste. Ora gli eserciti macedoni avanzavano e le polis, Atene compresa, stavano perdendo la loro indipendenza. Nella Grecia ormai sottomessa al Regno di Macedonia di Filippo e poi del figlio Alessandro, sempre più Magno, la politica cedette il passo alla filosofia e alle scienze. Tempi propizi in fondo per la Scuola Peripatetica, ma IO ormai non ne faceva più parte. E fare la passeggiatrice era sconveniente, specie per una madre. Allora decise di cambiare vita e con i gemelli partì per nave alla volta della Sicilia e della Magna Grecia in cerca di pace e di migliori condizioni di vita. Un nuovo mondo, la nuova frontiera. Il viaggio fu lungo e fortunoso. La divina Era doveva essere sempre offesa per la storia del marito con la sacerdotessa IO e l’omonimia, nonché la reiterazione dell’ennesimo tradimento, la disturbavano assai. Proprio in quanto divina, era capricciosa e molto vendicativa. Così spinse il fratello Poseidone ad agitare un po’ le acque durante il viaggio in mare dei nostri migranti che vomitarono per tutta la traversata e in diverse circostanze rischiarono pure di annegare. Con l’aiuto di Zeus riuscirono comunque a sbarcare in terra italica, portandosi dietro però l’aura negativa della maledizione di Era che i grecanici -siculi o calabri che fossero- rifuggivano come la peste. Per non parlare dei superstiziosi italici autoctoni.

IO e i suoi figli presero dunque ad allontanarsi e risalire la penisola. Nel Lazio era già passato Enea con gli altri profughi, discendenti di Troia e la cosa, anche al tempo, era molto equivocata. In prossimità della foce di un fiume biondo si erano installati altri due gemelli aggressivi e figli adottivi d’una lupa, che oltretutto non andavano neanche d’accordo fra loro. Laggiù chiamavano Zeus Giove, Era Giunone e Poseidone Nettuno, per dire solo di alcune divinità. Ma IO aveva nostalgia della sua terra e anche dei suoi Dei. Ognuno se li porta dietro a propria immagine e somiglianza. Così i nostri esuli si spinsero ancora più a nord, fino alle sponde di un fiume d’argento, dove la notte si specchiava il firmamento, e si fermarono alla confluenza di un torrente. In piano pioveva parecchio, un’umidità insalubre e nebbiosa ti entrava nelle ossa e non mancavano zone paludose, nonché fastidiose zanzare. Però tutt’intorno la regione era bella e solatia, con ulivi, vigne, colline, declivi e campi coltivati a grano da contadini miti e scherzosi, i quali avevano una parlata strana che strascicava le “c”, infarcita e intercalata da moccoli e bestemmioni. E porco Giove e puttana Minerva… Dice erano il sorriso e la felicità degli Etruschi. Anche gli Dei, specialmente nella versione greca, sembrava ci ridessero e non se ne facevano né in qua, né in là. In Tuscia le donne erano ben considerate e così, in riva al torrente, alla confluenza col fiume d’argento, IO costruì, per sé e per i figli, una capanna a cui ben presto se ne aggiunsero altre. Memore della Scuola dell’Ellade, progettò e fece i calcoli per la costruzione di un ponte di barche che fu realizzato per andare oltre, in una zona aspra, selvaggia e fertile che chiamarono, appunto, Fuor del Ponte.

IO di notte studiava la posizione delle stelle e il giorno il volo degli uccelli, impartendo lezioni ai suoi figli e agli altri ragazzi del villaggio. Più di una volta un piccione, ce n’erano parecchi, le aveva cacato in testa e lei ne aveva tratto positivi auspici. Forse anche la Dea Era l’aveva presa a ridere e si limitava a punzecchiarla, burlandosi di lei. Dopotutto i suoi gemelli erano pur sempre figli di Dio. La donna quindi pensò bene di ingraziarsi Era per farsi perdonare la copula fedifraga di Zeus, di cui peraltro aveva ben poca colpa. Accese pire, falò, bruciò frutta, ortaggi e il piccione che gli aveva cacato addosso, facendo voti alla Dea. Di più: dette al torrente che lambiva il villaggio, il nome Era, in suo onore, e fu stabilito di battezzare quel nucleo di capanne in riva all’Era con ponte annesso, Pontedera e Pontederesi i suoi abitanti. Quindi chiamarono quella valle fertile Valdera, Alta Valdera la zona collinare e, per effetto della toponomastica, Valderopitechi i preistorici progenitori dei quali furono rinvenuti numerosi reperti fossili ad Alica e Turricula. Poi, come se non bastasse, costruirono un teatro, ci vollero quindici anni, e lo chiamarono “Teatro Era”. Alla fine la Dea, soddisfatta, si placò. Non ci risparmiò pisani e fiorentini, ma almeno smise di rompere i coglioni. In conclusione, si può dire che IO, LUI e LEI divennero “NOI”: le nostre origini. Che discendono dallo spirito del mito e s’innervano nella carne della storia.

Marco Celati 3ª C

Il professor Ulisse Scordo, terminata la lettura di quella specie di tema, sincazzò. Non sapeva perché, se piangere o ridere. Mentre girava e rigirava tra le mani il foglio protocollo, pensava: Celati, Celati che devo fare con te? Alla fine dette un 7 non si capisce se di consolazione o incoraggiamento e se per lo studente oppure per sé. Aggiunse un meno, per le male parole, incerto se trasformarlo in un più.

Pontedera, Dicembre 2025

Marco Celati

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