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Imprese & Professioni domenica 20 dicembre 2020 ore 11:35

​Corporate Social Responsibility: cosa fanno per la privacy le imprese digitali

In aumento i tentativi di violazione di dati personali e delle truffe online



TOSCANA — La Corporate Social Responsibility, o Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), rappresenta il nuovo traguardo per tutte le imprese che puntano al digitale. In particolar modo questa sfida riguarda lo spinoso argomento della privacy e della protezione dei dati degli utenti.

Non sono affatto pochi gli esempi di violazione di dati personali anche da parte di realtà importanti del mondo digitale e con il costante aumento delle truffe online, il problema sta assumendo proporzioni più che preoccupanti.

Si calcola che nel solo 2020 il numero dei phishing, infatti, sia aumentato del +250% e i casi sono passati ad una media di 9 al giorno, circa.

La violazione dei dati personali è qualcosa verso cui le persone stanno mostrando sempre più attenzione e un fenomeno che rischia di danneggiare seriamente i business che puntano al digitale.

Ma in che modo stanno rispondendo le aziende e come proteggere la propria privacy mentre si naviga nel world wide web?

GDPR: il principio di trasparenza

Un primo passo innanzi è stato compiuto dal GDPR (General Data Protection Regularion), il quale ha imposto a siti web e app il principio di trasparenza.

Secondo questa disposizione, all’interno delle “informative sulla privacy” che ciascuna attività deve dichiarare devono essere contenute tutte le informazioni relative al trattamento dei dati personali. Allo stesso tempo l’utente deve avere la possibilità di negare la condivisione con parti terze dei propri dati.

Un passo avanti che comporta, per tutti i trasgressori, multe fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato.

Tuttavia non è ancora sufficiente: di fatti in media le informative sulla privacy risultano essere documenti troppo lunghi e intricati per poter essere letti facilmente da chiunque e spesso si continua a ricorrere ad espedienti e tranelli per carpire ai malcapitati tutte le informazioni personali e metterle a disposizione del miglior offerente.

Partendo da banners e pop up con messaggi accattivanti, infatti, il mercato della privacy si è potenziato di strumenti subdoli per far inconsciamente accettare alle persone l’installazione di cookies che monitorano le abitudini online degli utenti.

L’ulteriore passo in più: l’impegno aziendale

Ecco perché l’RSI costituisce un importantissimo traguardo a cui le aziende devono puntare se desiderano conquistarsi la fiducia degli utenti.

Stando alle statistiche, infatti, più del 30% degli utenti dichiara di aver subito una violazione dei propri dati personali navigando su internet. Di questi, il 64% ha dichiarato di aver totalmente perso fiducia nel brand da cui aveva comprato al momento della violazione e il 28% di non voler più acquistare presso quell’azienda.

Un problema, dunque, che può risultare determinante per l’evoluzione e il futuro di un’attività digitale: il traffico di visite ormai si concentra prevalentemente presso quelle realtà che hanno dichiaratamente rinunciato ai dark pattern del Digital Marketing.

Niente più fastidiosi banner o pop up aggressivi: questi scoraggiano l’utente e lo portano a rivolgersi altrove.

Lo studio delle abitudini delle persone che navigano su Internet è una componente rilevante del marketing digitale, ma non può essere condotto contro la volontà degli utenti. Ecco perché alle aziende viene richiesta ancora maggior trasparenza per quanto riguarda le proprie informative sulla privacy.

L’utente deve essere messo in grado di scegliere se condividere i propri dati o ricevere offerte promozionali o meno. Il rischio che si corre è quello di un massiccio ricorso a strumenti di tutela della privacy crittografati, come i VPN, che rischiano di falsare completamente le indagini di mercato digitali.

La collaborazione delle persone deve tornare ad essere una conquista e non un furto.


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